borsellino-strage-via-d-amelio_650x44719 luglio 1992, Palermo, via Mariano d’Amelio.

Me ne rendo conto sempre più spesso: molte volte quando mi trovo con gli amici o coi colleghi o con chiunque mi estraneo dai discorsi. Non so proprio che dire, non ci posso fare nulla.
Per un po’ di tempo non sono riuscito a darmi una spiegazione del perché spesso io proprio non riesca ad entrare nelle chiacchiere della gente e finisca inevitabilmente col fuggire mentalmente da quella situazioni ed alienarmi dal discorso.
Col tempo lo ho capito il perché, e non me ne vogliate perché le persone di cui parlo in questo caso sono spesso amici o colleghi e comunque persone a cui voglio bene e che stimo. Ma il motivo per cui spesso mi estraneo dalle vostre discussioni è semplice: a me non interessa chiacchierare di cosa avete fatto al mare, del ristorante dove avete mangiato, di questa o quella ragazza che avete intenzione di “conquistare” (voglio mantenere un linguaggio professionale per una volta). Si va bene ne possiamo parlare e farci due risate, ma non può essere tutto qui. Eppure sembra proprio che sia così.


I discorsi futili fanno parte della vita ci mancherebbe. Anche a me capita spesso di parlare di cose inutili (di sport, di serate, di musica), ma sono sinceramente esausto di mille discorsi che non portano a niente, di argomenti inutili, di chiacchiere superficiali. Nella vita ci vuole anche un pò di leggerezza, è verissimo, però le parole “anche un po’ ” hanno un significato letterale preciso. Significano “non solo quello”.

Io sento il bisogno di confrontarmi con gli altri su ciò che sta succedendo attorno a noi, sugli eventi che hanno indirizzato il nostro presente e che disegneranno il nostro futuro; eppure più mi guardo attorno e più mi rendo conto di essere sempre più solo in questo. Tutti gli altri preferiscono ignorare ciò che non è immediato e che richiede un minimo di sforzo per essere conosciuto.
Tra i racconti di facili e divertenti conquiste sessuali, digressioni sugli ultimi risultati calcistici e trattati internazionali sulla qualità di alcune marche di vestiti, mi rendo conto che non c’è niente di sostanziale in tutto quello che la gente si dice. Non c’è niente di importante, non c’è niente che conduca ad una riflessione più profonda e alla comprensione di almeno un pizzico di tutto il mare di merda in cui affoghiamo (la mia professionalità è durata poco).
Tutto viene dimenticato, compresi il dolore e la rabbia, comprese la guerra e la mafia. Mi piacerebbe tanto confrontarmi con le persone che conosco a proposito di tanti argomenti, sentire cosa ne pensano e scambiarci opinioni, ma sembra che questo valga solo per me e che a nessuno interessi parlare seriamente del mondo in cui viviamo.
E allora scusatemi, vi voglio bene, ma continuate pure a parlare di scarpe vestiti tette culi calcio e macchine; non badate a me, va bene così: le vostre chiacchiere non mi interessano.

In questi giorni si è celebrato il ventitreesimo anniversario della strage di via d’Amelio, il giorno in cui, come disse un disperato Antonino Caponnetto, “è tutto finito”.
Cinque giorni dopo, ai funerali di Paolo Borsellino (che non furono funerali di Stato, per volere della famiglia del giudice palermitano), l’Italia assistette ad una presa di coscienza commovente da parte della gente di Palermo, che a centinaia forzò i blocchi della polizia per urlare in maniera chiara e decisa, come forse non succederà mai più e non era mai successo prima, FUORI LA MAFIA DALLO STATO. Persino il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, fu cacciato dalla cerimonia dalla folla che lo spinse via insieme all’attuale capo della polizia, perchè i cittadini di Palermo avevano capito ormai che il fenomeno mafioso era legato saldamente allo Stato, quello Stato che non solo non aveva protetto Borsellino dalla sua fine annunciata, ma che con tutte le sue collusioni aveva di fatto preparato il campo per l’azione criminale mafiosa che quel giorno distrusse le vite di sei persone.
La rabbia di quella folla era genuina, e forse qualcuno ebbe l’illusione che si sarebbe trasformata nel rifiuto di tutto il popolo italiano a lasciare lo Stato in mano alla mafia, nella decisione ferma e convinta di NON DIMENTICARE.
Poco tempo prima furono le parole di Rosaria Schifani, vedova di uno degli agenti della scorta di Giovanni Falcone dilaniati a Capaci, a mostrare che quella Speranza era ormai morta insieme con suo marito Vito. Nelle sue parole, nel suo dolore, nei patetici tentativi del sacerdote di fianco a lei di farla restare “sul testo”, in quella disperazione è racchiusa la sconfitta dello Stato, e del popolo italiano che da quel giorno è tornato a chiacchierare solo di stronzate.

Ho scritto questo articolo proprio perchè ho notato che a nessuno è fregato un cazzo di tutto questo. L’attenzione è tutta concentrata sul calciomercato, su un surfista scampato all’attacco di uno squalo, o al massimo sui soliti articoletti di cronaca nera sparati qua e là sui giornali per attirare un paio di click in più.
Tutto questo, perdonatemi, ma mi fa un po’ schifo…